Chiamatelo Yeti, Bigfoot o Migoi, ma la leggenda di un ominide gigante che vaga per le terre emerse meno esplorate del pianeta fa parte di moltissime culture, dall'Asia al Nord America.
Descritto come una creatura umanoide alta fino a 2, 40 metri e completamente ricoperta da pelliccia (fulva nel continente americano, bianca o argentata per la versione asiatica dell'ominide), la leggenda di un "uomo abominevole" è vecchia di almeno otto secoli, e non ha mai mancato di affascinare folte schiere di appassionati.
Il problema di fondo, tuttavia, è quello di non poter affermare con certezza scientifica che queste creature esistano realmente. Il primo avvistamento, da parte di un occidentale, dello yeti himalayano risalirebbe addirittura al 1407; ma fino ad oggi nessuno è stato in grado di fornire una prova definitiva che possa mettere fine alla questione dell'esistenza di Bigfoot, dello Yeti o di qualunque altra versione della leggenda.
Il celebre genetista della Oxford University Bryan Sykes, noto per essere stato il primo a pubblicare, nel 1989, il profilo genetico ottenuto dalle ossa di un essere umano antico, è deciso a mettersi sulle tracce dello yeti per svelare il mistero della sua esistenza. "Molte cose che ho fatto nell'arco della mia carriera sembravano impossibili e stupide all'inizio, ma hanno ottenuto risultati impressionanti" ha dichiarato Skyes.
Il team di Oxford, in collaborazione con il Museo di Zoologia di Losanna, ha pubblicamente richiesto a tutti i criptozoologi del mondo di inviare campioni di materiale organico per farlo analizzare tramite le più moderne apparecchiature scientifiche. "Sto sfidando e invitando i criptozoologi a farsi avanti con le prove invece di lamentarsi che la scienza rifiuta ciò che hanno da dire".
Il progetto si chiama Oxford-Lausanne Collateral Hominid Project, e consentirà ai criptozoologi di tutto il mondo di inviare i propri campioni di pelle, peli e altro materiale biologico affinché ne venga analizzato il genoma.
Per evitare di essere bombardati di richieste di analisi, i ricercatori accetteranno soltanto i campioni forniti di dettagli accurati sul ritrovamento, dando precedenza al materiale provvisto di documentazione fotografica o video.
Una volta eseguita la raccolta dei campioni (dovrebbe concludersi a settembre di quest'anno), i ricercatori tenteranno di ottenere il profilo genetico di ogni materiale organico ricevuto per effettuare comparazioni con le impronte genetiche di creature già note alla scienza.
"Come ricercatore ho alcune riserve nell'entrare in questo campo, ma credo che usare l'analisi genetica sia totalmente oggettivo; non può essere falsificata" spiega Skyes. "Per cui non mi sento costretto a mettermi nella posizione di credente o scettico nei confronti di queste creature".
Skyes conta di poter identificare almeno una ventina dei campioni ricevuti, e non nasconde una certa speranza di poter imbattersi in qualche curiosa scoperta.
"Sarebbe fantastico se uno o più campioni dovessero risultare appartenenti a specie che non conosciamo, magari primati, meglio ancora se ominidi". Tra gli ominidi sono inclusi ovviamente i nostri lontani parenti Neanderthal, ma anche i Denisovani, una specie ancora misteriosa che popolava la Siberia circa 40.000 anni fa.
Anche se Skyes giudica improbabile che lo yeti possa essere un uomo di Denisova sopravvissuto fino ad oggi, non ritiene di poter escludere questa possibilità fino al termine delle analisi genetiche.
I risultati della ricerca saranno pubblicati probabilmente all'inizio del 2013 (l'analisi dei campioni inizierà questo novembre) su una rivista scientifica soggetta a peer-review (non è ancora chiaro quale rivista).
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