CAVRIGLIA (AREZZO) - La Tavola Peutingeriana, che rappresenta simbolicamente le vie dell'Impero Romano, elenca circa 555 nomi di città, alcune delle quali non sono ben identificabili.
La Tavola è una sorta di diagramma, ossia somiglia un po' alle cartine delle metropolitane che oggigiorno servono solo da orientamento, ma permetteva di conoscere le distanze tra una tappa e l'altra. Essa è oggi conservata presso l'Hofbibliothek di Vienna detta anche Codex Vindononensis.
Sono molti i toponimi toscani di difficile identificazione anche perché l'uso della lastricatura delle strade si diffuse precocemente nella nostra regione confondendo l'antica viabilità romana, perciò c'è sempre stata molta polemica tra gli studiosi sull'esatta ubicazione di toponimi come: Ad Aquileiam, Umbro fl, Bituriha ecc.
E' noto che Cavriglia è una città fondata dai romani forse su un precedente insediamento etrusco e, certamente, collocata su una via di comunicazione, ma ci sono dubbi su quale fosse il suo antico nome.
"Quanto più sono antiche le cose, tanto più sogliono spesso essere oscure ed incerte", scriveva nel 1804 nelle "Memorie per la vita di S. Berta" il canonico Giacomo Sacchetti.
Cavriglia, secondo il Sacchetti, è stata denominata in diversi modi: Caprilia, Capriola, Capicilia, Capriglia, Capriggia, Capolia, Aurilia senza mai menzionare quello che avrebbe potuto invece essere il suo vero nome, Bituriha.
Giacomo Sacchetti narra nelle memorie che il luogo porta tracce dell'antichità più remote e che molti toponimi valdarnesi hanno origini romane (Montemarciano, Cajano, Panzano ecc.) antichi fondi delle famiglie romane Caja, Panzia e Licinia e che nei campi adiacenti alla pieve "sono stati trovati e spesso ancora si trovano dé pezzi d'antichità", quali monete romane, pezzi di marmo di vari colori, moltissimi frammenti di mosaico.
Sacchetti notò anche numerosi frammenti di terra cotta di buona fattura e frammenti fusi di bronzo, rame e piombo che erano segno verosimile di un incendio devastante che distrusse l'antica città forse in epoca barbarica.
Il canonico scrive che "Il sig. Ab. Giuseppe Bologni, diligente osservatore di quelle antichità, nel lungo soggiorno che ha fatto a Cavriglia, molte ne ha conservate e mi attesta di avervi ritrovata una chiave di bronzo etrusca, delle così dette lucerne perpetue, idoletti di metallo ec. " . Cadde però, in pratica, l'oblio su queste scoperte fino al 1968 quando in occasione della costruzione di una nuova strada emersero dei reperti di grande importanza.
Alvaro Tracchi fu tra coloro che analizzarono quei ritrovamenti e percepì la grande importanza di quella scoperta che, però, non fu forse ben altrettanto compresa dagli studiosi e dalle autorità dell'epoca. Vennero alla luce fondazioni di muri costituenti stanze di varia grandezza; pezzi di marmo, frammenti di intonaci affrescati, tessere di mosaici e una grande quantità di frammenti ceramici.
In seguito, nel 1976, durante lo scavo delle fondamenta di una casa fu ritrovato un prezioso gruppo marmoreo, databile tra il II e il III secolo, raffigurante il dio Mitra che uccide il toro. Tracchi scrisse a proposito: "La testimonianza di un culto di Mitra a Cavriglia (culto di origine orientale particolarmente diffuso tra gli eserciti) sembra confermare l'esistenza di un insediamento di una certa consistenza, forse legato al passaggio di una strada militare."
Alvaro Tracchi ricostruì il percorso della Cassia Adrianea da Chiusi a Firenze, dopo una scrupolosa ricognizione di tutto il territorio e individuò nelle rovine romane presso la pieve di Cavriglia la probabile antica mansione itineraria di Bituriha, indicata sulla Tavola Peutingeriana di cui non si conosceva l'ubicazione.
Secondo altri studiosi, come Alfredo Maroni, il percorso della Cassia Adrianea non riguardava il Valdarno bensì il Chianti e identificava Bituriha con Radda, mentre per altri studiosi ancora, la Cassia Adrianea passava per il fondovalle dell'Arno senza però specificare bene dove si trovava esattamente l'antica mansio di Bituriha.
Studi più recenti confermerebbero le ipotesi di Tracchi perché testimoniano l'esattezza dei suoi calcoli tra le varie distanze delle tappe della Cassia, mentre questi stessi calcoli smentirebbero altre ipotesi. E' in sostanza esclusa l'ipotesi che la Cassia Adrianea attraversasse il Chianti ed è assai dubbio che passasse per il fondovalle.
Resta soltanto l'incertezza, come affermato da Annapaola Mosca nel suo volume "La Via Cassia" (Olschki Editore 2002), se le rovine romane di Cavriglia sono da mettere in rapporto con la mansio di Bituriha, citata nella Tabula Peutingeriana oppure in rapporto ad una strada che, attraversando la collina di Secciano, conduceva a quel centro situato sulle colline soprastanti.
Cavriglia sarebbe stata quindi una rilevante tappa per gli eserciti dell'Impero Romano e anche per i viaggiatori fino all'Alto Medioevo, ma oggi cosa possiamo ammirare delle rovine?
Praticamente nulla perché, alla fine degli scavi, fu deciso di ricoprire il tutto e oggi, su quella area sorge un giardino pubblico circondato da case, la cui scelta urbanistica di costruirle a ridosso di un sito archeologico è da considerarsi, a dir poco, infelice.
Molti di coloro pertanto che oggi passeggiano sui giardinetti di Via Di Vittorio non immaginano neppure che sotto i loro piedi vi sono antiche rovine romane che sarebbe bello un giorno ritornassero visibili e fruibili al pubblico, anche soltanto a scopo didattico, quale importante testimonianza del passato di Cavriglia. Di esse ci dobbiamo purtroppo accontentare soltanto di ammirare alcune foto d'epoca e di una minuziosa pianta degli scavi di Alvaro Tracchi.
Marco Del Pasqua
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