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1 Agosto 2004 ARCHEOLOGIA
Il Messaggero
La Dolce Vita di Qumran
tempo di lettura previsto 3 min. circa

Gerusalemme - Gli scrittori di gialli a sfondo biblico avranno un nuovo elemento a cui attingere, gli studiosi di storia dell´antichità e delle religioni un tassello da dibattere, confrontare, sposare o rifiutare. Un altro mito, nato intorno a una delle più straordinarie scoperte dell´archeologia biblica del secolo appena lasciato, rischia di frantumarsi. Qumran, su una collina che si affaccia sul mar Morto, non sarebbe stato «il più vecchio monastero del mondo occidentale» com´è stato definito da alcuni archeologi, ma un insediamento come tanti altri, dove vivevano uomini e donne e bambini, nemmeno tanto poveri, e non i monaci esseni, una setta ebraica di asceti che, a questo punto, forse non erano gli autori dei rotoli del mar Morto. Si parlò di Qumran per la prima volta nel 1947 quando alcuni beduini vi trovarono, nascosti nelle grotte che sovrastano l´insediamento, i primi "rotoli", manoscritti di carattere liturgico e teologico ancora oggi fonte d´interminabili discussioni e feroci polemiche tra gli studiosi che li stanno decifrando.

Dopo dieci anni di scavi nella zona, due archeologi israeliani, Yuval Peleg e Itzhak Magen stanno per pubblicare il risultato delle loro ricerche e secondo il quotidiano Haaretz non soltanto contestano le analisi degli scavi precedenti ma accusano il loro autore di aver chiuso un occhio su molte cose per arrivare a conclusioni che, dicono, non sono basate sulla realtà delle cose. «E´ impossibile dire che la gente vissuta a Qumran era povera», sostiene Peleg. E aggiunge: «E´ impossibile che de Vaux non abbia visto le cose che abbiamo trovato noi. Ha semplicemente voluto ignorare le cose che non gli facevano comodo». Gioielli, vetro importato, costosi contenitori per cosmetici sono tra i reperti portati dai due archeologi a riprova delle loro conclusioni.

Roland de Vaux, monaco domenicano e archeologo dell´Ecole Biblique di Gerusalemme, condusse i primi scavi a Qumran tra il 1951 e il 1956. Prima del suo arrivo sulle rive del mar Morto, i manoscritti erano stati identificati come prodotto dei monaci esseni dal professor Eliezer Sukenik, padre del più famoso degli archeologi israeliani, quel Yigael Yadin, generale pluridecorato, poi responsabile degli scavi di Masada, luogo di un altro mito sempre più indifendibile dal punto di visto storico.

L´importanza della scoperta o quanto meno delle conclusioni è tale da provocare nuove polemiche sulle origini dei rotoli e sul ruolo avuto dagli esseni. La religione pesa su questa vicenda come su nessun´altra storia dell´archeologia moderna. I rotoli sono gli unici documenti arrivati fino ai giorni nostri dal periodo del Secondo tempio degli ebrei e la loro lettura e analisi interessano sia il mondo ebraico che quello cristiano. Gli studiosi considerano gli esseni molto vicini al pensiero di Gesù e dei primi cristiani, soprattutto a causa della loro scelta della povertà come condizione di vita. Molti ritengono che Giovanni Battista fu influenzato da loro.

Dieci anni fa, il professor Itzar Hirshfeld, dell´Università ebraica di Gerusalemme, contestò de Vaux e di Yadin, e un anno più tardi il professor Norman Golb dell´Università di Chicago provocò un terremoto nel mondo accademico sostenendo che i curatori dei rotoli stavano nascondendo il risultato delle ricerche. I manoscritti, disse, provenivano da varie biblioteche di Gerusalemme, scritti da cinquecento mani diverse, non necessariamente da esseni, e nascosti nelle grotte durante la grande rivolta degli ebrei contro i romani nell´anno 66 dell´era cristiana.

La nuova "scoperta" non convince tutti, comunque. L´ex curatore del museo in cui, a Gerusalemme, sono custoditi i rotoli del mar Morto sostiene, polemico, che i gioielli e il resto non provengono da ciò che definisce ancora «il più vecchio monastero del mondo occidentale».