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29 Gennaio 2004 ARCHEOLOGIA
Il Messaggero
Quell´Iraq da primato
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Il Mondo occidentale, degli intellettuali e della gente comune, forse anche dei politici, è rimasto sconvolto dalle notizie e dalle immagini, della scorsa primavera, che riferivano e mostravano il saccheggio del Museo archeologico di Bagdad nei primissimi giorni in cui le forze americane avevano assunto il controllo della conquistata capitale irachena. Dopo le prime terribili precisazioni, corredate da elenchi di almeno 40 capolavori - di fonte irachena, di fonte inglese e di fonte Unesco -, di quali tesori del patrimonio culturale dell´umanità fossero scomparsi dalle vetrine e dai depositi del più importante museo del Vicino Oriente (secondo solo a quello del Cairo), è iniziato in Occidente un lancio, quasi programmato e cadenzato, di informazioni rassicuranti: le perdite non erano state così gravi; il recupero delle opere perdute procedeva bene; si ritrovavano anche i "tesori" messi al sicuro nei depositi della Banca Centrale dell´Iraq.

La gravità di ciò che era accaduto non era sfuggito, però, in alcun modo neppure alle massime autorità degli Stati Uniti, se due consiglieri culturali del presidente ritennero subito dopo il disastro di presentare le loro dimissioni alla Casa Bianca come chiaro riconoscimento (se non denuncia) che un evento così straordinariamente negativo avrebbe potuto facilmente essere evitato. Nelle settimane successive al crollo del regime iracheno, giornalisti americani ed inglesi che avevano più facile accesso a regioni di difficile controllo nelle zone meridionali (l´antica Babilonia) e settentrionali (l´antica Assiria) dell´Iraq cominciarono a documentare i devastanti ed inarrestabili scavi clandestini su decine e decine di siti storici.

Si è così venuto a sapere che stanno subendo danni irreparabili, per i continui saccheggi organizzati, centri archeologici di straordinaria importanza del Sud come l´antica Isin, scavata per oltre 15 anni fino al 1990 da una importante missione tedesca assai liberalmente accolta dalle autorità culturali dell´Iraq, o del Nord, come l´eccezionale capitale assira di Nimrud, dove, dopo le epiche esplorazioni britanniche succedutesi fino al 1962, per anni un´eccellente collaborazione aveva visto affiancati archeologi polacchi, iracheni e poi anche italiani in notevolissimi lavori di scavo e di restauro.

Archeologi, storici e filologi del mondo mesopotamico, cioè della più antica civiltà urbana dell´umanità, da Cambridge a Harvard, da Parigi a Roma, da Berlino a Londra, da New York a Bruxelles, da Vienna a Tokyo, hanno lanciato appelli con migliaia di firme alle autorità di Stati Uniti e di Gran Bretagna perché gli studiosi iracheni che tanto si sono prodigati nei decenni passati per riscoprire, per restaurare e per conservare il patrimonio culturale dell´Iraq non dovessero subire del tutto immeritati danni dalla nuova situazione politica che si veniva creando in Iraq.

Si deve riconoscere che questo grande appello unitario è stato in larga parte accolto dal governo provvisorio anglo-americano dell´Iraq di questi mesi. Ma oggi, quel che colpisce, in non pochi servizi di informazione occidentali dall´Iraq è una sorta di rovesciamento e di falsificazione dei dati e dei meriti degli archeologi iracheni negli ultimi trenta anni di ricerche e di studi in Mesopotamia. In queste ultime settimane, come qualcosa di scontato si afferma spesso nei più autorevoli organi di stampa che negli ultimi trenta anni in Iraq si sarebbero effettuati solo scavi clandestini e il patrimonio culturale dell´Iraq sarebbe andato in malora, mentre oggi, proprio quando in realtà il territorio della Mesopotamia comprensibilmente fuori di ogni controllo è oggetto di spaventosi saccheggi, si aprirebbero radiosi orizzonti alla ricerca archeologica. E´ obbligo, allora, ricordare con date e nomi che resteranno nella storia dell´archeologia orientale le sensazionali scoperte di cui sono stati autori gli archeologi dell´Iraq degli ultimi venti anni. Il primo di questi ritrovamenti è quello dell´eccezionale biblioteca di parecchie centinaia di testi letterari e scientifici, spesso intatti, della metà del I millennio a.C. compiuta nel Tempio del dio solare a Sippar, uno dei massimi santuari della grande Mesopotamia di Nabucodonosor II. Questa scoperta del 1985-86, dopo anni di scavi, è stata opera di Walid al-Jadir dell´Istituto di Archeologia dell´Università di Bagdad: questi testi straordinari sono stati pubblicati per anni nell´ambito di un´ottima collaborazione internazionale da assiriologi iracheni e britannici, mentre a studiosi tedeschi è stata affidata una completa documentazione grafica e fotografica di questo incomparabile tesoro letterario.

Un´altra leggendaria scoperta irachena, compiuta da Sayyid Muzahim Mahmud Hussein tra il 1988 e il 1990, sotto il coordinamento del direttore generale dell´antichità dell´Iraq, Muayyad Said Damerji, è quella, compiuta a Nimrud, delle tombe reali delle regine d´Assiria, tra cui le mogli di Salmanassar III e di Sargon II, ricchissime di sfolgoranti corredi di gioielleria come mai erano stati riportati alla luce nelle pur lunghe e fortunatissime attività archeologiche sul suolo mesopotamico dalla metà dell´Ottocento ad oggi. Una grande mostra di questi straordinari tesori, progettata dalle autorità culturali irachene d´accordo con il Museo Britannico di Londra non poté aver luogo per lo scoppio della prima guerra del Golfo.

La stampa occidentale ha di recente favoleggiato che il cosiddetto "tesoro di Nimrud", cioè gli spettacolari corredi delle tombe reali, fosse scomparso prima della seconda guerra del Golfo. La realtà era molto semplice e nulla era stato trafugato o sottratto: gli ori di Nimrud, per somma prudenza, erano stati posti al sicuro dalle autorità culturali dell´Iraq nei magazzini della Banca Centrale di Bagdad nel timore, quanto mai fondato, dello scoppio della seconda guerra del Golfo. Se questo saggio provvedimento non fosse stato preso nei mesi che precedettero l´invasione anglo-americana dell´Iraq anche quei tesori, a seguito dell´esecrabile saccheggio del Museo di Bagdad, sarebbero oggi forse dispersi tra frontiere compiacenti, antiquari disonesti e aste con falsi certificati di provenienza.

La politica culturale dell´Iraq dal tempo dell´acquisizione dell´indipendenza nazionale dopo la fine del mandato coloniale britannico, per tutta la seconda metà del XX secolo è stata una politica aperta e collaborativa nei confronti della ricerca archeologica internazionale. L´atteggiamento delle autorità culturali dell´Iraq, laicamente e correttamente, non ha mai privilegiato, per non fare che un esempio, le testimonianze del mondo islamico rispetto a quelle dell´antico e glorioso mondo di Sumer, di Accad, di Babilonia e d´Assiria: anzi ha considerato proprio quel mondo antichissimo il luogo cronologico ed ideologico di riferimento per la sua straordinaria importanza nella storia dell´umanità.

E´ compito della comunità scientifica internazionale, oggi, in una situazione di difficoltà gravissima, impegnarsi a fondo e con piena onestà intellettuale, perché tale resti l´atteggiamento del nuovo Iraq e perché gli archeologi, i filologi, gli storici iracheni siano di nuovo i primi protagonisti della riscoperta, della conservazione e dell´interpretazione del glorioso passato del loro infelicissimo Paese.