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27 Febbraio 2003 ARCHEOLOGIA
Il Messaggero
Rasa al suolo la città senza tempo
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Quando Valerio Zurlini ebbe a scegliere una location per il suo "Deserto dei Tartari" tratto dal romanzo di Dino Buzzati, optò veramente per una città senza tempo: Arg-è Bam.

Una enorme città-fortezza, antichissima, totalmente costruita in mattoni crudi, in una sperduta vallata dell'Iran sud-orientale, a meridione dei terribili deserti del Dasht-i Kavir e Dasht-i Lut.

Fondata sembra dai re persiani sassanidi nel terzo secolo d.C., doveva essere un importante luogo di culto zoroastriano forse già da tempo: fonti storiche parlano di un Tempio del Fuoco oggetto di intenso pellegrinaggio delle genti iraniche.

Lo sviluppo della città, che continuò anche con l'avvento dell'Islam, si dovette anche alla posizione di crocevia tra due rami della Via delle Spezie e della Via della Seta che, aggirando a Sud i grandi deserti, facevano affluire verso i porti del Golfo Persico le preziose mercanzie provenienti dall'India e dalla Cina. Nel periodo di massimo splendore la città, cinta da un fossato e da imponenti fortificazioni con 38 torrioni, misurava oltre sei chilometri quadrati. Moschee, madrase, una grande biblioteca scolastica (la maktabkhané), grandi bagni pubblici e fastose dimore signorili ne mostravano l'opulenza. I commerci e un fiorente artigianato tessile assicurarono benessere a Bam per secoli sino al fatidico 1722, quando un'invasione afghana costrinse gli abitanti all'abbandono della città. Ma non tutto fu distrutto: restò intatta la moschea Jamé, costruita sul luogo dell'antico tempio del fuoco, con il pozzo del Dodicesimo Imam shiita, e il bazar safavide, che in 150 metri di lunghezza ospitava oltre cinquanta botteghe. Anche la grande cittadella, sede del governatore, dai potenti bastioni costruiti dai Selgiuchidi e dai Mongoli per separarla dalla città, resistette, quasi indistruttibile di fronte a mano umana. Ma era, in qualche modo, l'inizio della fine. Bam, rioccupata dagli abitanti, non si riprese più completamente: il commercio ormai aveva trovato altre strade. L'epilogo, a inizio Ottocento, con una ennesima invasione, segnò il definitivo abbandono dell'abitato. Rimase però una guarnigione dell'esercito, di stanza alla cittadella fino al 1932 (a riprova dell'importanza strategica del sito), mentre le case, attorno, cadevano pian piano in rovina.

L'abbandono improvviso, che lasciò tutto com'era, e il degrado lento delle strutture, date le scarse piogge, furono però, a loro modo, una fortuna. Il tempo avrebbe consegnato a noi sostanzialmente intatta una città di fiaba, tanto più suggestiva quanto lontana dai nostri consueti modi di abitare e di costruire. Un'intera città di paglia e fango che custodiva in sé il portato di ataviche sapienze costruttive, dal modo di modellare le volte, le cupole delle moschee, del bazar, della Zoorkhané (la palestra-ginnasio della madrasa islamica) sino alla straordinaria possanza degli enormi bastioni e delle torri che circondavano città e cittadella. Le case in crudo, anche a più piani, isolavano perfettamente da caldo, freddo e rumori. Quanto alla difesa, se ben costruita, una muraglia in mattoni crudi poteva essere non meno robusta della pietra. In questo, gli iranici da millenni erano maestri, e sapevano dosare potenza e elasticità delle strutture. I possenti contrafforti esterni, inclinati, potevano respingere furiosi attacchi: la muratura, elastica, respingeva gli arieti nemici che rimbalzavano all'impatto.

Non per nulla era un luogo-simbolo del mondo iranico: la concezione di città-fortezza era di per se stessa un'idea orientale: una sola porta permetteva l'ingresso all'abitato, che si chiudeva a riccio in casi di necessità. In Asia centrale, secoli prima, popolazioni iraniche avevano ideato i "Borghi dalle Mura Abitate" in cui funzioni residenziali e difensive divenivano un tutt'uno.

A Bam, i soffitti retti da travi di palma, di buona elasticità, avevano per secoli retto ai terremoti, periodico flagello di quei travagliati territori, ed erano infatti le strutture meglio conservate della fortezza quando, negli anni 50, iniziarono i restauri della città. Ma quest'ultima tremenda scossa dev'essere stata davvero esiziale.

* Archeologo orientalista, direttore presso il Museo egizio di Torino

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