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5 Ottobre 2009 ARCHEOLOGIA
Pietro Berra Corriere di Como
Sulle tracce degli illustri antenati
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«Non si immagini di vedere Pompei...». È la classica modestia del padrone di casa che apre agli ospiti le sue stanze segrete, quella con cui Giorgio Luraschi ci introduce alla Spina Verde. Il parco naturale incuneato tra la città di Como e i comuni limitrofi è davvero "casa sua": da bambino meta prediletta delle passeggiate con papà, mamma, nonna e zio, quando per chi abitava nei quartieri popolari dell´immediato dopoguerra i boschi erano ancora una fonte si sostentamento («raccoglievamo legna, castagne, more, mirtilli, funghi e, a Natale, il muschio per il presepe»); da allievo del professor Maggi, e attivista dell´Archeologica comense, scrigno di reperti strappati al sottosuolo «scavando come animali»; da esimio docente di Diritto romano, nonché autore della «Storia di Como antica», luogo dove portare i suoi studenti e i soci dei vari club di servizio, lasciandoli senza fiato, non per la fatica, ché il percorso non presenta asperità, ma per la bellezza delle "scoperte" inanellate in un paio d´ore di cammino nei boschi ai margini della convalle.

LA CITTÀ PREROMANA. «L´ideale - dice Luraschi - è partire da Prestino, dove dopo la chiesa, nei pressi della farmacia, c´è un parcheggio per lasciare l´auto». Quindi si risale a piedi un tratto della Garibaldina fino a scorgere «un muraglione di venti metri inerbato» in località Leno, rimanenza di un recinto preromano, poi si torna indietro di qualche passo per imboccare via Comum Oppidum, che fin dal nome ci ricorda le origini della nostra città. «Nel quinto secolo avanti Cristo - racconta Luraschi - arrivano gli etruschi, sconfitti in centro Italia dai romani. Si innamorano di Como perché è la strada più breve per raggiungere Oltralpe. Non esportano solo i materiali di produzione greca, ritrovati nelle campagne di scavo, ma anche idee. Tra le tante quella di città». E scelgono le pendici della Spina Verde, abitata fin dall´XI secolo dalle popolazioni di origine ligure che avevano abbandonato le palafitte dopo l´invasione dei celti. «Una dozzina di villaggetti di capanne viene soppiantata da Comum Oppidum, il più grande centro protourbano del Nord Italia». Dalla via eponima in poi «cambia il mondo: la strada diventa campestre, ma comoda. Finché si apre davanti l´anfiteatro della Camera grande», forse dimora di un sacerdote golasecchiano. Qui occorre una precisazione di carattere storico-architettonico. «Le "camere" erano edifici scavati nella roccia, mentre le capanne erano fatte di pietra e tronchi». Più avanti, dopo aver superato un ruscelletto e ammirato la vista del Monte Rosa, si incontra un altro insediamento protostorico: la Camera Carugo. «Si pensa fosse un opificio - riferisce Luraschi - poiché sono state trovate moltissime scorie di fusione».

INCISIONI RUPESTRI. Le pietre parlano, in Spina Verde. E, a saperle decriptare, raccontano storie millenarie. A partire dalle "tracce di carro" (in realtà solchi lasciati dalle slitte che i nostri progenitori tiravano a mano o aiutati da animali) poco prima della Camera grande, proseguendo con le cave di arenaria a metà strada tra le due "Camere". «Uno spettacolare muro alto 50 metri tutto scalpellato - rimarca Luraschi -. A parte pochi segni di martello pneumatico, la maggior parte risale a tempi antichi». Ma l´attrazione maggiore è il "roccione di Prestino", istoriato di incisioni rupestri, come quello di Pianvalle che si incontrerà più avanti. «C´è la scacchiera, il labirinto, il pozzetto rituale, una figura antropomorfica con le corna e le coppelle». Da sempre queste ultime, presenti su numerosi massi disseminati nei boschi del Comasco, fanno interrogare i moderni sul loro significato. «Non credo c´entrasse l´allineamento con gli astri - afferma Luraschi -, bensì ritengo che fossero parti essenziali di riti divinatori. Si sacrificavano animali, oppure si versavano miele e latte, e, a seconda della direzione che prendevano, si traevano gli auspici».

FONTE DELLAMOJENCA. Tra le incisioni rupestri, sottolinea Luraschi, a Pianvalle ve sono alcune che richiamano chiaramente l´organo sessuale femminile e sarebbero testimonianze di una civiltà matriarcale. A confermare l´importanza del ruolo della donna tra i protocomensi, è arrivata una recente scoperta legata a un altro luogo magico di questo percorso, la fonte della Mojenca. «Un mio collega dell´Università dell´Insubria, l´astronomo Adriano Gaspani, ha dimostrato che non era allineata al sorgere del sole, bensì a quello della luna», dice Luraschi. Che non ha dubbi sul significato rituale della costruzione di pietra attorno al rivolo d´acqua. «Se no - osserva - non avrebbero effettuato uno scavo di 18 metri in cui ci puoi stare in piedi».

VISTA E BUONATAVOLA. Dopo essersi soffermasti ad ammirare anche i resti dell´abitato protostorico di Pianvalle - «camerette rettangolari con una vasca-focolare nell´angolo, che hanno fatto pensare a un comportato specialistico, forse di fabbri» - di sicuro l´appetito comincia farsi sentire. «Si può scegliere tra tre baite: Pianvalle, Elisa o Monte Croce. Ho portato il Rotary e il Kiwanis, gente abituata a ristoranti di alto livello - sottolinea Luraschi -, e sono rimasti sconvolti dalla bontà dei nostri cibi ormai dimenticati». Alla Baita Elisa anche l´occhio ha la sua parte. «Dal belvedere puoi ammirare la città romana in maniera perfetta». L´ultimo pensiero è per Giulio Cesare, che nel 59 a.C. fondò Novum Comum dopo aver bonificato la convalle e consentì ai nostri progenitori di lasciare le pendici della Spina Verde, rimaste pressoché intatte. «E dal ´93 protette - sottolinea il "padrone di casa" - grazie all´istituzione del parco naturale che abbiamo lottato trent´anni per avere».