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19 Novembre 2003 ARCHEOLOGIA
Il Gazzettino Online
L'arca di Antenore tra leggenda e storia
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17 settembre 1985, ore 9.48. Davanti al palazzo che ospita la Provincia e la Prefettura, flash e riflettori si accendono su un'altra tomba eccellente che viene riaperta a distanza di secoli. Dentro, il mito vuole che ci sia Antenore, leggendario fondatore di Padova. A fornirne l'occasione è stato il restauro del complesso monumentale dell'arca di Lovato dei Lovati. I resti vengono presi in consegna da un plotone di studiosi. Nel gennaio 1988, dal laboratorio specializzato di Tucson, in Arizona, giunge la risposta che la salma custodita all'interno, pur non essendo ovviamente quella del sullodato Antenore, ha la bellezza di 1720 anni, con un margine di errore di una cinquantina in più o in meno. Insomma, un tizio vissuto a cavallo tra il terzo e il quarto secolo dopo Cristo, epoca in cui il territorio padovano è percorso da torme di cosiddetti barbari.

L'antefatto va ricercato nel Duecento, il secolo precedente a quello dell'arrivo del Petrarca a Padova. A far parlare le cronache dell'epoca è un personaggio che viene da lontano, dal Mediterraneo orientale: si chiama, per l'appunto, Antenore. La leggenda che sia stato lui a fondare Padova ha già quasi mille anni di vita, ma dopo il gran battage pubblicitario fatto in epoca romana, è finita un po' alla volta nel dimenticatoio. A rilanciarla con clamore è un episodio che accade nel 1274, durante uno scavo in contrada San Biagio, per la ristrutturazione del ponte di San Lorenzo (quello che oggi si può vedere nel sottopassaggio di riviera dei Ponti Romani, tra Università e Prefettura). Vengono alla luce due vasi pieni di monete, e una cassa di piombo contenente una seconda cassa in cipresso, con dentro uno scheletro ed una spada.

La voce si sparge immediatamente, e sul posto arriva la solita folla di curiosi. Tra di loro c'è una persona che abita a due passi da lí, nella parrocchia di San Daniele. Si chiama Lovato Lovati, ed è un poeta appartenente ad una ricca famiglia di notai, che coltiva da tempo la passione per lo studio dell'antichità classica e per l'archeologia . L'uomo non ha dubbi: si tratta niente meno che delle spoglie di Antenore, tangibile conferma della veridicità del racconto di Virgilio. Padova ha ritrovato il suo padre fondatore.

In Comune non ci pensano sopra due volte per dargli corda: in un momento del genere, reduce dalla parentesi ezzeliniana, con la sempre più ingombrante concorrenza di Venezia sulla scena, la giovane Repubblica patavina non può certo gettare alle ortiche questa raffinata opportunità di darsi un look mitico, cosí carico di richiami storici e letterari. Vada per Antenore, dunque: di buon grado le autorità accolgono la proposta di Lovati, il quale prima fa indire solenni festeggiamenti, e poi ottiene che proprio a due passi dal luogo del ritrovamento venga eretta un'arca adeguata.

Nei secoli successivi verrà meno il richiamo mitologico, e passerà la tesi che dentro quel monumento funebre riposi un capo militare, uno dei tanti transitati per Padova durante le invasioni barbariche prima del Mille: forse quella degli ungari, nel nono secolo. Poi, per l'appunto, le analisi di Tucson faranno retrodatare l'epoca. Ma in quel momento non si va tanto per il sottile, e ci si tiene stretti il provvidenziale falso Antenore.

Lovati ottiene il privilegio di lasciare per cosí dire la firma sulla tomba, dettando egli stesso le due quartine in latino incise sui lati dell'arca. E siccome il capomastro che ha ritrovato materialmente i resti si chiama Capra, ecco che per chiudere la bocca anche ai più scettici si rispolvera un'antica profezia: "Quando la capra parlerà e il lupo (in dialetto si dice lovato, come appunto il Nostro: ndr) risponderà, Antenore si troverà". Un moderno studio di marketing non avrebbe saputo far meglio.