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4 Ottobre 2002 ARCHEOLOGIA
The Chronicle of Higher Education
Ritrovata un´antica testimonianza della tradizione letteraria Buddista
tempo di lettura previsto 7 min. circa

Sulla base di alcune sorprendenti scoperte effettuate nello scorso decennio, i ricercatori dediti allo studio di alcuni antichi manoscritti Buddisti all´Università di Washington e alla British Library, confermerebbero l´ipotesi esistente da tempo, secondo la quale esistette un´antica tradizione di letteratura Buddista in Gandhari, un dialetto di Prakrit, antico linguaggio Indiano, che si sviluppò dal sanscrito.

I ricercatori confidano nel fatto che il canone che stanno esaminando, possa presto prendere il suo posto insieme alle altre quattro grandi tradizioni di testi Buddisti: Pali, Cinese e Tibetano, e l´antico e frammentario testo in sanscrito.

Il canone in Gandhari potrebbe rivelarsi essere il collegamento cruciale per comprendere il modo in cui il Buddismo si mosse verso nord lungo la Via della Seta, nell´Asia Centro-Orientale, e perfino come si diffuse in India, dove era nato nel V o IV secolo a.C.

"Stiamo mettendo insieme questo linguaggio sulla mappa dei maggiori linguaggi del mondo antico, a cui appartiene di diritto" ha riferito Richard G. Salomon, un professore di linguaggi asiatici e di sanscrito, e direttore della Biblioteca Universitaria Inglese (British Library) del Progetto per i Primi Manoscritti Buddisti di Washington.

Il dottor Salomon era incaricato di ricostruire, decodificare e pubblicare una collezione di manoscritti appartenenti ad una tipologia che non credeva avrebbe mai avuto la fortuna di vedere. Fino a poco tempo fa, la prova concreta della tradizione Gandhari, consisteva in un unico manoscritto, scoperto nel 1892 e pubblicato 70 anni più tardi come The Gandhari Dharmapada (Oxford University Press), edito dallo studioso dell´Università di Cambridge, John Brough.

Gli specialisti erano comunque certi dell´esistenza un altro manoscritto. Attorno al 1830, per esempio, un archeologo francese scrisse di aver trovato alcune tracce scritte di Gandhari, "ma quando le toccai, esse si sbriciolarono letteralmente tra le mie mani" ha riferito Graham W.Shaw, il direttore della British Library's Oriental and India Office Collections.

Anche se nessun altro manoscritto Gandhari è venuto alla luce, Salomon faceva parte di un gruppo di ricercatori che si dedicava a tempo pieno a questo linguaggio, traendo il materiale di studio dalla edizione di Brough, da documenti in un linguaggio correlato, e dalle iscrizioni sui vasi, monete e rovine archeologiche. Il Dr. Salomon è specializzato, col tempo, in queste arcane iscrizioni, in lingua Kharosthi, uno scritto basato sull´alfabeto aramaico.

Nel 1994 la sua preparazione lo ha ricompensato, quando è stato contattato dagli ufficiali alla British Library, che aveva appena ottenuto una collezione di manoscritti in dialetto Gandhari, scritti in Kharosthi. Un anonimo filantropo aveva donato alla biblioteca 29 frammenti estremamente fragili su rotoli di corteccia di alberi. "La carta e la pergamena sono come acciaio temprato a confronto" ha riferito Shaw. "Il semplice fatto che un solo esemplare di manoscritti su un simile supporto sia sopravvissuto fino a noi ha del miracoloso".

Gli esperti della biblioteca ed il Dr. Salomon hanno determinato che i manoscritti sono databili al primo secolo d.C., e ciò li rende i più antichi manoscritti Buddisti di sempre, e i più antichi manoscritti Indi conosciuti, ad essere sopravvissuti.

Giudicando mediante la comparazione con altri artefatti e per mezzo dei commenti sui resoconti dei primi viaggiatori e archeologi, Salomon ha dedotto che i manoscritti probabilmente sono stati trovati in una giara all´interno di una grotta presso Jalalabad, in quella che è adesso l´Afghanistan orientale, presso l´antica regione di Gandhara.

Gandhara era la sede di una serie di potenti dinastie dal III secolo a.C., fino al IV secolo d.C.; ben conosciuta per l´abbondanza di resti archeologici, fu crocevia di influenze culturali dall´India, la Cina e l´Asia orientale, ed un punto di fusione di culture appartenenti a greci, discendenti degli sciiti provenienti dal nord, e molti altri.

Resti archeologici ed altre prove dimostrano che fu anche un importante centro Buddista.

"Molti manoscritti Gandhari sono andati distrutti, persi, buttati via" dice Solomon. "Non sono stati riconosciuti per il loro immenso valore, neppure dagli studiosi –certi archeologi – che li avrebbero dovuti conoscere bene."

La Collezione della British Library è aumentata da 29 a 57 frammenti e ha triplicato il suo originario volume, con l´aggiunta di altri gruppi di manoscritti che sono stati non identificati in collezioni private. Includono sermoni, racconti, e commentari, molti dei quali sono ben conosciuti nella tradizionale letteratura Buddista.

Gli otto piccoli frammenti contigui, che formano un brano della dimensione di una pagina di un quaderno standard, probabilmente tratto da un ampio commentario sui benefici della meditazione – è già stato acquistato dalla Biblioteca dell´Università di Washington, mentre gli altri manoscritti si trovano alla British Library. Data l´assoluta fragilità dei documenti, i ricercatori di Washington studiano le immagini digitali o fotografiche degli stessi.

Per datare i manoscritti, i ricercatori hanno usato tecniche come la comparazione dei loro contenuti con iscrizioni o monete, e nomi o eventi menzionati nei testi. Simili indizi suggeriscono che i rotoli di Kharosthi provengano dalla biblioteca di un monastero Gandharan della setta di Buddisti Dharmaguptaka; che risalgano al I sec. a.C. e che siano stati trovati nella parte settentrionale del moderno Pakistan o Afghanistan orientale.

Annotazioni interlineari, come "ricopiate" indicano che i manoscritti più antichi venivano progressivamente sostituiti da nuovi manoscritti ricopiati di fresco. Apparentemente, dice Salomon, i monasteri avevano scriptorium bene organizzati, ampie biblioteche, perfino in un´epoca tanto remota.

Ciò che induce Salomon ed i suoi colleghi a credere che i testi abbiano un significato enorme è che supportano la "ipotesi Gandhari" che Brough e molti altri studiosi hanno proposto da tempo: alcune antichissime traduzioni cinesi di testi Buddisti sarebbero state preparate partendo dal Gandhari, piuttosto che dall´originale sanscrito.

Salutata inizialmente con scetticismo, questa possibilità appare ora certa. La nuova scoperta rivela "un collegamento mancante tra la nascita del buddismo in India e le sue forme più tarde in Cina e altrove in Asia" ha riferito Michael Witzel, un professore di sanscrito e studi indiani all´Università di Harvard.

Il collegamento è certo piuttosto complicato, ha commentato Witzel. I manoscritti recentemente trovati non provengono dagli "stadi formativi del buddismo". L´originale linguaggio di questa religione era probabilmente un dialetto perduto dell´India orientale, come successivi testi Pali dall´ovest dell´India suggeriscono. Ma dal momento che la tradizione non è mai stata messa per iscritto, dice Salomon, "questo ci porta così vicini come non siamo mai stati alle prime forme di scrittura delle parole del Buddha."

Perfino se i testi di Gandhara dovessero predatare tutte gli altri documenti Buddisti, la tradizione si collega alle altre tracce di buddismo in "modo veramente complicato e confuso" che non collima con nessun altro racconto storico, dice Salomon.

"In un certo modo, è deludente. Ma questa è una reazione superficiale. In realtà è emozionante, e scuote l´ordine delle cose."

Nel tentativo di identificare l´esatta relazione tra i testi, Salomon ed i suoi colleghi, incluso Collett D.Cox, un professore associato di Studi Buddisti a Washington, e Marl Allon, membro dell´Associazione Australiana dei Ricercatore all´Università di Sidney, stanno minutamente comparandoli mediante i paralleli con il Pali, il Sanscrito, ed il Cinese, e trovando perfino alcune corrispondenze con la tradizione Tibetana, che si sviluppò più tardi, da differenti rami. Per esempio, tra i testi nella collezione si ha l´Anavatapata-gatha, una raccolta di sermoni sulla natura della percezione che si dice il Buddha abbia consegnato sulle rive del Lago Anavatapoata. Questi sono conosciuti per la loro successiva versione in sanscrito, cinese e Tibetatano.

E´ stata anche trovata una versione della compilazione in versi conosciuta in Pali come il Khaggavisana-sutta del Sutta-nipata, i sermoni di Buddha sul corno del rinoceronte (sutta-nipata). In entrambi le versioni Pali e Gandhari, il rinoceronte animale che vaga da solo, simbolizza il distacco dalle cose materiali.

Molti testi della collezione, comunque, non hanno tali analogie. "Una larga proporzione di questa letteratura" riporta Salomon, esisteva solo in questa regione, e non è parte di una letteratura pan-Buddista. Questo è per certi versi scoraggiante – poiché rende le traduzioni ancora più complicate – ma per altri versi meraviglioso".

Meraviglioso, conviene Mr. Shaw della British Library, poiché le iscrizioni nei nuovi codici stanno provandosi essere più vicine a quelle delle versioni cinesi buddiste, che a quelle dei canoni Pali, che sono state generalmente considerate versioni standard. "Erano ovviamente vari canoni Buddisti che circolavano nei primi tempi, ed in molti dialetti differenti" riferisce.

I manoscritti gettano anche nuova luce sul modo in cui la tradizione Buddista fu diffusa. "La trasmissione orale era il metodo preferito, con memorizzazione, recita e così in avanti" riferisce Salomon. "Quel che stiamo scoprendo adesso è che, nel I e nel II secolo d.C., la trasmissione a mezzo di documenti scritti stava già prendendo piede."

Per queste ragioni i manoscritti sono, dice Witzel di Harvard: "I manoscritti di Qumran del buddismo".