sei in Home > Archeologia > News > Dettaglio News
30 Febbraio 2004 ARCHEOLOGIA
La redazione di La Porta del Tempo
BAM - IL RITORNO DEI JINN
FOTOGALLERY
tempo di lettura previsto 6 min. circa

I JINN sono creature di Allah, e Allah h ha creati da una fiamma senza fumo, dopo gli angeli ma prima di Adamo degli animali, delle piante delle altre cose. I jinn sono spiriti invisibili, ma ugualmente vivono e muoiono, si sposano e si riproducono, hanno intelligenza e libero arbitrio, e possono dunque scegliere fra il vero e il falso, il giusto e l'ingiusto, il bene e il male. Vivono ovunque, ma soprattutto nei deserti, nei luoghi in rovina, e in quelli più impuri, come tombe e letamai, e in quelle case dove entrando non si nomina con rispetto il nome di Allah.

Questo dicono il Corano e la Sunna.

La leggenda dice invece che i jinn arrivarono a Bam quasi tre secoli fa.

La città in forma di fortezza (o la fortezza in forma di città) era qui, color ocra e rosso al sole del tramonto, ai margini del deserto, e c'era già da quasi mille anni. L´avevano fondata forse i Parti 250 anni prima che nascesse Cristo, ma questa è la data che indicano gli uomini colti: da sempre gli abitanti preferiscono invece parlare di un altro mitico fondatore, un re-dragone vissuto ancora più lontano nel tempo. Ad ogni modo, quando arrivarono i jinn, Arg-e-Bam, la "cittadella di Bam", era

già un antico monumento di argilla cruda: le mura, le torri, le cupole, i portali, i palazzi erano fatti – come oggi - di khesht, i mattoni che, invece di essere cotti nei forni, vengono semplicemente seccati al sole. Poi c'erano anche paglia, fango, tronchi d'albero di palma, qualche piccola trave in legno grezzo: case, scuole, palestre, moschee, bagni, tutto era fatto così.

Tutto si disfaceva di continuo, perché l'impasto che teneva insieme i mattoni era pressato in forme di legno d'una trentina di centimetri, e dopo un po' asciugava e diventava polvere. Ma tutto veniva ricostruito nello stesso modo, utilizzando sempre l'argilla dei deserto, come se Arg-e-Bam non fosse che un gigantesco, straordinario immenso castello di sabbia in attesa di un´onda che se lo portasse via, e che per fortuna non arrivava mai.

Così, all'ombra del muro di cinta e delle torri - si dice che arrivassero a essere più di sessanta alte sette o otto metri, e da esse le vedette spiavano l'avvicinarsi degli scorridori del deserto - si sono avvicendate generazioni di uomini e dinastie diverse: prima i Sassanidi, poi gli Abassidi che nel IX secolo vi portarono l'Islam, quindi i Tamaridi discendenti di Tamerlano, poi ancora i Safavide nel XVI secolo. Al tempo del rinascimento persiano - nel nostro Cinquecento - la città era ancora la principale fortezza a difesa della Via della Seta, anche se la capitale era stata trasferita a Isfahan dove lo scià Abbas aveva creato una corte illuminata popolata da artisti, filosofi, scienziati e architetti.

Sarebbe stato così fino al Settecento, quando appunto arrivarono i jinn.

Perché mai? Perché nel 1722 la città fortezza venne abbandonata dai suoi tredicimila abitanti a causa di una orribile strage compiuta da tribù venute dall'Afghanistan, contro le quali nulla avevano potuto neppure le mura spesse due o tre metri. L´aveva raccontato anche Marco Polo, passato qui, tanto tempo prima: "Da queste parti i banditi sono numerosi e terribili, e hanno madri indiane e padri tartari",

Nella città popolata ormai solo da qualche vecchio impastatore di mattoni, i jinn - dice ancora la leggenda - trovarono le loro tane negli androni abbandonati, si arrampicarono sui bastioni ed esercitarono la loro magia, facendo fiorire i datteri e riportando l'acqua nei pozzi. Per più di cent'anni è andata così finché a rimandare (parzialmente) nell'ombra gli spiriti, a metà Ottocento, sono stati i tentativi di riportare gli uomini vivi nell'antica fortezza, installandovi per esempio una caserma. La guarnigione militare è rimasta operativa fino agli anni Trenta del secolo scorso: ma i soldati non si occupavano più delle vie carovaniere, e la loro vigilanza era invece diretta ai pozzi dell'oro nero, il petrolio scoperto in tutto l'Iran meridionale.

INTANTO IN BASSO, nella valle, andava crescendo Arg-e-jadid, la "nuova cittadella", dove si era trasferita la gente. Ma un po' di vita è rimasta comunque nell'antica fortezza: nel 1976 vi è arrivata la troupe di Valerio Zurlini che in questa magia d'ocra aveva deciso di ambientare il film tratto da Il deserto &i tartari, il romanzo di Dino Buzzati. Qui, comunque, restavano aperte dalle 7 dei mattino alle 7 di sera le botteghe dei souvenir per i turisti che, da tutto il mondo, tornavano dopo tanti anni a respirare l'atmosfera dell'antica Persia. I momenti migliori, per una fotografia sulle mura? "Quelli del tramonto, magari sul terrazzo di una teahouse", raccomandavano le guide. Nel 1993 il presidente Ali Akbar Hashemi Rafsanjani è venuto per la prima volta su questa rocca, e ne è stato talmente impressionato da invitare i connazionali a compiere, almeno una volta nella loro vita, una visita a Bam. Anche i lavori di restauro e di consolidamento avevano ripreso vita: nel '96 l'Organizzazione dei beni culturali iraniana aveva organizzato un congresso internazionale sull'architettura della città, e nel '99 si era tenuto un secondo convegno. "Negli ultimi anni i restauri erano stati massicci. In linea generale, gli iraniani non hanno alcun problema dal punto di vista della competenza specifica o della realizzazione tecnica", ha ammesso Carlo Cereti,

docente di Filologia, religioni e storia dell'Iran, all'università La Sapienza di Roma.

A notte, via i turisti e via gli studiosi, ad Arg-e-Bam restava però il respiro dei jinn. L´ultimo abitante residente, una anziana donna, aveva lasciato la cittadella un quindicina di anni fa. Gli ultimi che impastavano i mattoni, si erano trasferiti da tempo

a valle (dove, fra l'altro esisteva una facoltà di architettura molto attiva).

Poi il 26 dicembre 2003 il terremoto - uno dei tanti che negli ultimi secoli ha scosso queste terre - ha alzato la grande onda che s'è portata via il castello di sabbia. Le torri, le mura, le case, le due moschee... non solo, anche tutto ciò che era stato ricostruito nella valle se n'è andato, il centro storico, le case contadine con i loro ricchi giardini, e gli impianti di una sorgente zona industriale, dove si fabbricavano anche pezzi di ricambio per auto coreane.

Ora i jinn hanno molto più spazio, a disposizione. Qualcuno dorme sui sedili di plastica delle Daewoo abbandonate.

Ricostruire ma come?

- Eskandar Mokhtar¡, dirigente dell'Organizzazione iraniana per i beni culturali: "Probabilmente i danni non sono irrecuperabili, e ci sono rilievi e documenti grafici e fotografici sufficienti per una ricostruzione. Anzi, si può approfittare di quanto accaduto per un intervento di restauro su vasta scavi".

- Andrea Bruno, docente al Politecnico di Milano, da vent´anni impegnato in restauri in Afghanistan: "Le mura crollate si possono ricostruire. Per noi occidentali ricostruire significa falsificare, ma per la cultura locale le cose ricostruire con le loro mani e con le tecniche dei loro padri e usando gli stessi materiali non sono falsificazioni, ma opere originali. Non c'è stata interruzione nella tradizione".

- Vittorio Sgarbi, critico d'arte: 'Lo scheletro della cittadella è rimasto, alcune parti sono riconoscibili, ma i lavori dovrebbero essere effettuati con le tecniche e i materiali dei passato: terra cruda, fango, argilla".

- Frances Pinnock e Enrico Ascalone, restauratori a Ebla: 'Il sistema potrebbe essere consolidato e stabilizzato aggiungendo come legante, a paglia e fango, resine particolari. Parte della cittadella è rimasta in piedi, ed esistono migliaia di fotografie e di filmati da usare come base. Non si può pensare di abbandonare Bam alla distruzione".

TAG: Restauri