Immaginiamo di ritornare indietro nel tempo, 3300 anni fa, intorno all'anno 1300 a.C. (ossia novemila mesi - e non novemila anni - prima di Solone, dalla cui narrazione il filosofo Platone trasse le proprie informazioni su Atlantide).
Quello che oggi è il Mare Mediterraneo doveva essere a quel tempo distinto in due mari, posti a quote diverse e privi di comunicazioni reciproche.
Ad ovest, il bacino costituito dal Mediterraneo occidentale e dal Tirreno era - come oggi - in comunicazione con le acque dell'Oceano, attraverso lo stretto dell'attuale Gibilterra, che si era aperto più di mille anni prima, e le sue acque avevano ormai raggiunto un livello simile a quello odierno, grazie all'apporto costante garantito dall'apertura di quella bocca di comunicazione con le acque oceaniche.
Un secondo mare, ad est, andava dalla Piccola Sirte alla costa siro-palestinese e comprendeva lo Ionio, il basso Adriatico e il Mar di Candia (mentre il territorio Egeo, tutto emerso, costituiva una vasta pianura costellata di rilievi montuosi di origine vulcanica). Esso era ben separato dal primo, perché al posto dello stretto di Messina esisteva un istmo roccioso e quello che oggi è il canale di Sicilia era allora una fertile pianura, irrigata da fiumi e protetta da alte montagne, che scendeva dolcemente verso le sponde del mare inferiore.
Le acque del Mediterraneo orientale dovevano trovarsi ad una quota di circa 300 m sotto quella odierna. Faremo riferimento a questa quota come "livello zero" per misurare le altitudini relative.
All'estremo occidente del Mediterraneo orientale, non lontano da dove ora si erge l'isola di Malta, due strette imboccature davano accesso ad un grande golfo, profondo oltre mille metri. Intorno a quel golfo, protetto alla sua imboccatura da una vasta isola, era sorta una civiltà fiorente, fondata da una stirpe libica che era forse scesa sino a qui dalle alte montagne del sud.
Chi fosse provenuto da oriente, da Creta o dall'Egitto, avrebbe visto una costa rocciosa, piuttosto ripida, nella quale si aprivano due stretti, ai lati di un'ampia isola, con un'estensione compresa tra 11.000 e 17.000 km2, che si ergeva sino ad una collina di circa 150 m. I due stretti a nord e ad ovest dell'isola misuravano tra i 15 e i 30 km. Poteva però essere anche una penisola, con un solo stretto alla sua estremità nord, quale unico accesso al grande golfo.
Possiamo identificare in questo sistema di stretti le "colonne d'Eracle" dell'antica mitologia (e una delle due "colonne" appare identificabile nel massiccio roccioso dell'attuale isola di Malta).
Le alture più elevate di quel sistema emergono ancora dal mare del canale di Sicilia e sono: Pantelleria, le isole Pelagie (Lampedusa e Linosa), le isole maltesi.
Lungo la sponda settentrionale del golfo si ergeva un sistema di rilievi, un po' più elevato di 500 m, che dominava il panorama (le attuali isole maltesi); le coste meridionali erano un po' più dolci, ma un lungo e piatto rilievo si elevava vicino al mare, sino ad oltre 400 m dal pelo delle onde, e di fronte ad esso, non lontano, un'alta isola sorgeva dalle acque del bacino (le attuali isole di Lampedusa - la prima - e di Linosa, quella staccata dalla costa). In direzione nord-ovest, in fondo al grande golfo, si stagliava un imponente picco vulcanico, alto più di 1100 m dalle acque del mare. Per usare un chiaro riferimento attuale, si trattava di quella che oggi conosciamo come l'isola di Pantelleria. Dietro di essa, a nord, la costa saliva a delimitare l'orizzonte, per un'altezza di almeno 300 m. Al di là vi era l'altro mare, che riceveva ormai da secoli l'apporto delle acque dall'Oceano, e da lì "era possibile raggiungere le altre isole per coloro che allora compivano le traversate e dalle isole a tutto il continente opposto, che si trovava intorno a quel vero mare (pontos)... Infatti tutto quanto è compreso nei limiti dell'imboccatura di cui ho parlato appare come un porto caratterizzato da una stretta entrata: quell'altro mare, invece, puoi effettivamente chiamarlo mare e quella terra che interamente lo circonda puoi veramente e assai giustamente chiamarla continente." (Platone).
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MAPPA PER LA LOCALIZZAZIONE DI ATLANTIDE |
Quel mare, che era da secoli in collegamento con le acque dell'Oceano
tramite la bocca di Gibilterra, era molto vicino a debordare al
di qua della sua sponda e a dilagare verso il golfo ed il Mediterraneo
orientale, posti ad una quota più bassa. Questa era la vera maledizione
pendente sul capo del popolo (Atlanti-Tjehenu) che abitava quelle
terre, ma essi forse erano convinti che la situazione di precario
equilibrio potesse durare in eterno, così come essi l'avevano sempre
vissuta.
Ad ovest del "porto" o golfo che abbiamo descritto si stendeva un'ampia,
fertile pianura irrigua, che ritorniamo a descrivere con le parole
usate da Platone. Essa riceveva da nord le acque della Medjerda,
che oggi scendono al mare non lontano da Tunisi, mentre da ovest
poteva essere abbondantemente irrigata grazie alle acque provenienti
dall'ampio "mare" interno, le cui acque dovevano essere piuttosto
dolci. Quell'estensione di pianura corrisponde, per misure e caratteristiche
fisico-climatiche, al territorio descritto da Platone: la distanza
dalla chiusura del golfo, verso sud, sino alle sponde del Mediterraneo
occidentale, è di 540 km (tremila stadi), e quella dalla costa del
golfo sino ai rilievi alle spalle della pianura, che delimitavano
il mare interno, di 360 km (duemila stadi).
Il filosofo narra che gli abitanti di Atlantide coltivavano - fra
l'altro - datteri e banane, in mezzo ad una fauna in cui spiccava
la presenza di elefanti.
Dalla costa, la pianura saliva dolcemente verso ovest, in direzione
di una cresta di colli di origine vulcanica, ricchi di giacimenti
metalliferi, dalla struttura morfologica in prevalenza tufacea.
Al di là della cresta, a circa 450 km di distanza dalle acque
del Mediterraneo, si stendeva un enorme bacino d'acqua: un vero
e proprio mare, la cui superficie era posta ad una quota di circa
650 m superiore a quella del Mediterraneo. Quel mare raccoglieva
le acque di un vasto bacino pluviale, che andava dall'attuale massiccio
degli Aurès, a nord, a sud sino ai massicci del Tassili e dell'Ahaggar
(la "montagna Atlante", secondo il testo di Erodoto), dal quale
scendeva il fiume che oggi ha il nome di Wed Igharghar. Le sue acque,
a loro volta, alimentavano un emissario che scendeva verso est,
al Mediterraneo: un fiume perenne, che irrigava le terre della vasta
pianura.
Quando l'acqua toccava il massimo livello quel mare poteva raggiungere
una profondità di circa 350-380 m ed aveva una forma quasi
circolare, con una superficie di oltre 280.000 km2, paragonabile
per estensione a quella dell'intera penisola italiana. Nel fondo
del suo bacino oggi c'è un grande sedimento di sabbia, il Grand
Erg orientale (Igharghar): uno dei deserti sabbiosi più estesi al
mondo. Si può suppone che a quel grande mare fosse attribuito
in epoca antica il nome primitivo di "oceano (pelagos) Atlantico".
Per comodità, visto che il mito antico pose in quella regione
il Giardino delle Esperidi e che ancora oggi il suo fondo disseccato
si chiama "Chott el Djerid" (palude disseccata del giardino, del
palmeto), lo chiameremo "il mare dei Giardini".
A sud-ovest del mare dei Giardini, a una distanza di altri 500 km,
si ergeva verso il cielo il grande massiccio roccioso dell'Atlante...
si tratta della montagna oggi nota col nome berbero di Ahaggar,
"nobile". Ricorriamo alla descrizione offertane da Erodoto:
"è stretto e circolare da ogni parte ed alto a quanto si
dice tanto che le sue vette non si possono scorgere: giammai
infatti le abbandonano le nubi, né d'estate né d'inverno. Gli indigeni
dicono che sia una colonna della volta celeste".
Le cime più alte di quel massiccio, nella montagna oggi chiamata
Atakor, erano quasi 2800 m più in alto del livello delle acque dell'oceano
(ossia 3400 al di sopra del livello del Mediterraneo di allora).
Alle pendici di quella montagna racconta Erodoto viveva un tempo
il popolo degli Atlanti:
"Da questo monte gli abitanti del paese hanno tratto il nome, si
chiamano infatti Atlanti. Si dice che essi non si nutrano di alcun
essere animato e che non abbiano sogni.
Due percorsi principali, tradizionalmente, conducono dalle sponde
del Mediterraneo verso le montagne dell'Ahaggar, e corrono l'uno
lungo la sponda ovest dell'antico Mare dei Giardini (è la strada
che conduce alle oasi di El Goléa e di Ghardaia, "alti luoghi" del
turismo sahariano, i cui wed quando portano acqua puntano ancora
in direzione del grande mare disseccato), l'altro lungo la sua sponda
orientale, ed è la grande "strada dei carri", cosparsa di dipinti
e graffiti rupestri, descritta nelle sue tappe e oasi dal racconto
di Erodoto, percorsa a suo tempo anche dalle truppe romane che penetrarono
l'Africa sino al bacino del Niger. La sponda nord era rocciosa,
dello stesso tipo di rocce che si frantumarono nel disastro che
provocò la fine di Atlantide: sono le gole e i canyon che
solcano il versante sud delle montagne degli Aurès e che, in prossimità
di Bou Saada, vanno a sfociare sulle prime sabbie dell'antico grande
mare. Il fondo disseccato di quel grande mare è occupato ancora
oggi da un impenetrabile deserto di sabbia. Ad ovest, all'interno
del primitivo bacino, corre ancora da sud a nord una falda d'acqua
abbastanza ricca da fornire vita e nutrimento alle oasi del Souf:
in questa regione è sorta El Wed e ad una quota più in alta, verso
l'antica sponda occidentale, si trovano Wargla e i pozzi petroliferi
di Hassi Messaoud.
In quella regione viveva un popolo libico o "pre-libico", prospero
per agricoltura e commerci, dotato di una propria struttura di stati
"confederati" in una sorta di impero. Quegli uomini erano grandi
costruttori e grandi navigatori e usavano una scrittura, presumibilmente
simile a quella libico-berbera; nei geroglifici egizi erano chiamato
Tjehenu e nei testi greci Atlantói. Diversi popoli erano
loro confederati o vassalli (e ne ritroveremo taluni nell'elenco
dei popoli del mare che sciamarono verso l'Egitto, dopo la catastrofe
finale).
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Un carro da guerra o da caccia, dai dipinti rupestri di Jabbaren, nel massiccio dei Tassili, tra l'Algeria e la Libia. |
Se vogliamo provare a riunire gli indizi offerti dai vari autori
dell'epoca classica, quel popolo poteva essere giunto alle coste
del Mediterraneo dalla grande montagna dell'interno, detta Atlante,
al di là del mare "sospeso", con una migrazione di oltre
2000 km. Almeno sin dal 3000 a.C. gli Atlanti erano capaci di costruire
con grandi blocchi di pietra città fortificate e vivevano
in costante confronto con l'impero dei Faraoni, in quel lungo confronto
che taluni studiosi hanno chiamato "la guerra del bronzo". Fra i
prodotti di vitale importanza per la diffusione della tecnologia,
essi detenevano il monopolio di importanti giacimenti di ossidiana,
un materiale litico (vetro vulcanico) molto pregiato per la produzione
di lame e di altri oggetti d'uso. Fra le principali fonti dell'ossidiana
nel Mediterraneo, si collocano inftti Pantelleria l'alto picco vulcanico,
posto proprio al fondo del loro grande golfo) e le isole Eolie,
che dovettero far parte dei territori sotto loro controllo.
Le miniere di rame nativo (oréi-chalkos) si trovavano sulle colline
alle spalle della pianura atlantide, ma una grande innovazione tecnologica
fu costituita dall'uso del bronzo, lega tra rame e stagno, con migliori
caratteristiche di durezza e di resistenza.
L'obiettivo strategico per ottenere il monopolio del bronzo era
il controllo delle miniere di stagno, di cui l'Africa è priva. I
Faraoni sostennero per questo la lunga guerra contro gli Hittiti
e conquistarono il controllo delle miniere dell'Anatolia. Gli Atlanti
dovettero rivolgersi altroveò il loro stagno proveniva dal
sud-ovest della penisola iberica, e forse dalla Cornovaglia. In
effetti, la rete dei loro rapporti commerciali potrebbe essere stata
connessa con la diffusione delle "culture megalitiche" in Europa
e nel Mediterraneo occidentale.
Secondo il racconto sviluppato da Platone nei suoi Dialoghi, la
società atlantide era strutturata in un sistema statale (una
confederazione di piccole monarchie, a quanto pare di poter interpretare
il racconto del filosofo), che praticava l'agricoltura, costruiva
città, fondeva i metalli (oro, rame e stagno) e aveva scoperto
il modo di legarli per ottenere il bronzo, conosceva la scrittura,
aveva praticato un espansionismo di conquiste estese sino alla Tirrenia
(attuali Lazio e Toscana), combatteva da 2000 anni contro i signori
dell'Egitto ed era entrata in conflitto con popolazioni pelasgiche
che vivevano sulle coste della pianura egea... i suoi combattenti
sono stati raffigurati in bassorilievi egizi e nei dipinti rupestri
delle piste sahariane, usavano carri da guerra e da caccia trainati
da cavalli, e Platone si sofferma a lungo su una serie di usanze
di quel popolo sulle quali, oggi, non possiamo esprimere molti dubbi...
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Un guerriero dal copricapo piumato, dai dipinti rupestri di Jabbaren (1500 ca. a.C.) |
Secondo Platone, i sacerdoti di Sais avevaro raccontato a Solone
che grandi siccità, mai viste prima, avevano calcinato la
terra intera, immensi incendi avevano imperversato sulle contrade
e distrutto le foreste, fulmini erano caduti dal cielo, terremoti
avevano scosso il pianeta, provocando grandi e considerevoli distruzioni,
disseccando sorgenti e fiumi. Alle siccità sarebbero sopravvenute
le inondazioni ed enormi trombe d'acqua si sarebbero riversate sulla
terra, inghiottendo - tra l'altro - l'isola degli Atlanti. Quei
cataclismi sembravano segnare una fase di transizione, il passaggio
da un periodo con un clima più caldo ad un'altra fase, con condizioni
di vita più dure.
Corrispondono tali descrizioni a mutamenti climatici che potrebbero
essere realmente avvenuti nel sec. XIII a.C.?
Secondo altri documenti contemporanei (le iscrizioni egizie di Medinet
Habu, l'Esodo biblico), le catastrofi descritte avvennero veramente.
Fu proprio verso il sec. XIII a.C. che la Libia (Nordafrica) conobbe
il culmine di una grande fase di desertificazione. Un'iscrizione
di Karnak precisa: "I Libici vengono in Egitto per cercare di sopravvivere".
Anche il mito di Fetonte può ricordare una serie di drammatiche
siccità che colpì il Mediterraneo, "all'origine della storia
dei Greci".
Tutto quel mondo che abbiamo descritto finì nello spazio di ventiquattr'ore,
in un giorno di un anno compreso tra il 1235 e il 1220 a.C.. Una
serie di violenti terremoti incrinò seriamente la consistenza
degli sbarramenti rocciosi (fatti di tufo e quindi abbastanza friabili,
forse già indeboliti da infiltrazioni d'acqua) e aprì alcune
brecce, che ben presto cedettero di fronte alla pressione delle
acque dei due grandi bacini posti alle quote superiori: il mare
sahariano e il Mediterraneo occidentale, costantemente rifornito
dalle acque dell'Oceano. Le acque si fecero strada con impeto in
canaloni larghi decine di chilometri, con ondate di piena veramente
immani, neppure lontanamente paragonabili a quella del Vajont, che
è drammaticamente rimasta nella memoria degli italiani. Pur calcolando
per difetto il volume del mare sahariano, abbiamo detto che esso
in antico conteneva almeno 50.000 chilometri cubi d'acqua, sino
ad una quota massima di 650 m sul livello del Mediterraneo orientale.
Per determinare l'energia potenziale di quell'ondata, potremmo schematicamente
identificare il baricentro della massa d'acqua versata a + 350 m.
Ne sarebbe derivato l'impatto di un'energia equivalente almeno a
17,5 x 1015 kgm = 17 x 1016 Joule. Supponiamo pure che il livello
dell'acqua nell'invaso originale potesse essere già sceso
di molto, all'epoca della catastrofe, a causa dei sopravvenuti cambiamenti
climatici, ma certo un'ingente l'onda d'urto si poté rovesciare
sulla pianura sottostante. Per distruggere e spazzar via completamente
Atlantide, sarebbe bastata un'ondata costituita da meno di un decimo
del volume del mare superiore, riversata dal dislivello allora esistente
con il bassopiano. L'enorme cascata andò a colpire con un
impatto diretto l'isola con la capitale di Atlantide, che si trovava
ad una distanza di circa 600 km dallo sbarramento.
Ancora oggi, a chi guardi con attenzione su una carta geografica
o su una foto satellitare la regione del Grand Erg orientale, del
Golfo di Gabès e della Piccola Sirte, l'antica catastrofe traspare
"tra le righe": il Golfo di Gabès appare come un vero e proprio
"imbuto" e non è difficile immaginarsi l'enorme massa d'acqua che
vi si scaricò, per riversarsi, con grandi quantità
con fango e sabbia, nei bassifondi antistanti, che un tempo dovevano
costituire una fertile pianura. Dobbiamo ancora spiegarci, però,
perché mai quella zona sia poi rimasta, nei secoli, annegata sotto
le acque.
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Guerriero dal copricapo piumato, dal ciclo di bassorilievi che mostra l'invasione dei "popoli del mare", nel tempio funerario del faraone Ramses III a Medinet Habu (1200 ca. a.C.). |
La stessa serie di terremoti ruppe altri diaframmi rocciosi: innanzitutto
quello che delimitava a nord la grande pianura in declivio e che
costeggiava un mare a un livello più basso, ma di gran lunga più
pericoloso: perché quel mare era ormai collegato agli Oceani, e
da loro riceveva un afflusso d'acqua costante. Quando anche quelle
acque cominciarono a riversarsi sulla pianura di Atlantide, la storia
di quella civiltà fu definitivamente sommersa sotto centinaia
di metri di acqua salata. I due Mediterranei si fusero in un solo
mare. Fu definitivamente sommersa la pianura dell'Egeo, costellata
di rilievi montuosi, che rimasero trasformati in arcipelaghi. Per
alcuni secoli, gli Achei e gli altri antenati delle culture mediterranee
videro l'acqua che saliva, copriva i loro porti, le città
costiere e portava via i loro migliori terreni coltivabili... Alcuni
di loro tentarono di conquistare l'unico rifugio possibile, la grande
pianura che s'innalzava lungo il corso del grande fiume Nilo, al
riparo dalla salita del mare... ma furono respinti o assorbiti dalla
grande civiltà che già, lungo quelle sponde, aveva
costruito un impero, destinato a durare nei secoli e a lasciare
di sé un'impronta immortale...
Tutto ciò rimase impresso nei miti di origine della stirpe
greca, col diluvio di Deucalione e Pirra, con le grandi epopee di
Eracle e degli Argonauti.
Il quadro del cataclisma appare completo se immaginiamo che la stessa
serie di scosse telluriche provocasse il cedimento del diaframma
(istmo roccioso) che collegava l'Italia alla Sicilia, con la conseguente
apertura dello stretto di Messina.
L'impeto della corrente scavò un solco profondo, un letto
tortuoso al centro del canale di Sicilia, intaccando e disgregando
le rocce di minore resistenza, e andò a biforcarsi, con violenza,
contro le rocce più consistenti dell'imponente picco vulcanico di
Pantelleria. Il risultato dei cataclismi di quel periodo dovette
essere un flusso di corrente verso est, dalla portata molto maggiore
di quella che, attraverso Gibilterra, alimentava il livello del
Mediterraneo; un flusso che durò a lungo, il cui effetto
fu probabilmente rafforzato da quello proveniente dallo stretto
di Messina. Si può calcolare che l'innalzamento delle acque
nel Mediterraneo sino al livello attuale abbia comunque impiegato
alcuni secoli. Le acque fluivano come una veloce corrente tra le
sabbie e i fanghi che si erano riversati nel golfo della Piccola
Sirte dal grande mare sahariano, e salivano di livello sino ai Dardanelli,
alla costa siriana, al Delta del Nilo, coprivano tutti i porti dell'antica
cultura minoica, trasformavano Ilio in una città marinara,
e spingevano sino a lì i conquistatori Achei, ben decisi a impadronirsi
dei poteri e delle ricchezze che il nuovo mare rendeva loro accessibili.
Altri di loro partirono verso le rovine sommerse dell'antica Atlantide
e incontrarono altre vicissitudini (gli Argonauti nella regione
delle Esperidi... ). Finirono sommersi tutti gli stabilimenti portuali
allora esistenti nell'area del Mediterraneo orientale. Finì sott'acqua
ciò che rimaneva della civiltà di Thera, già
fortemente colpita dalla gigantesca esplosione vulcanica di due
secoli prima; finirono sotto'acqua i templi maltesi, scavati nella
grande roccia sacra che era stata, sino ad allora, la "sentinella"
di Atlantide. La roccaforte maltese ci appare come una delle due
primitive "colonne d'Eracle", e forse la sua collocazione in questo
contesto può aiutare a gettare nuova luce sulla ricchezza
di insediamenti sacri, di costruzioni ipogee e di ritrovamenti sottomarini
che l'attuale isola e i suoi fondali offrono ancora oggi.
I fanghi, le correnti e i bassi fondali della Piccola Sirte e del
Canale di Sicilia resero a lungo difficile la navigazione, come
è riferito da Platone e da altri autori classici (incluse le narrazioni
del mito degli Argonauti).
Se è credibile quanto abbiamo esposto, Atlantide non si è mai mossa,
non è sprofondata in nessun abisso oceanico. è stata sconvolta da
immani ondate, le sue rovine sono state ricoperte da decine di metri
di fango e sabbia e poi da alcune centinaia di metri d'acqua.
La distruzione del centro economico-culturale di Atlantide può
apparire collegata alla "misteriosa" interruzione delle attività
di costruzione di complessi megalitici, che intorno a quell'epoca
si verificò in tutta l'area del Mediterraneo occidentale:
nella penisola iberica, così come in Sardegna e in Corsica e potremmo
aggiungere sino alle isole britanniche. Era scomparso un importante
polo di ricchezza e di riferimento, un paese di grandi navigatori,
che commerciavano con i paesi più occidentali per importare lo stagno,
essenziale a fondere il bronzo, e in cambio esportavano ossidiana
ed altri prodotti mediterranei. I popoli ad esso collegati, per
i quali era venuto a mancare il principale partner economico, si
trovarono così di colpo proiettati in una condizione di "barbarie",
o quanto meno nella nuova esigenza di basarsi su un regime di sussistenza
alimentare.
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Gruppo di donne, con acconciatura estremamente moderna, che cavalcano dei bovini. 1500 a.C. Dai dipinti rupestri di Jabbaren, nel massiccio dei Tassili, tra l'Algeria e la Libia. |
Lo svuotamento completo del grande mare africano, avviato dall'improvvisa
catastrofe, fu il colpo di grazia per la desertificazione del Nord
Africa. Il fenomeno proseguì con l'inaridirsi del clima e col disseccarsi
dei corsi d'acqua che alimentavano il bacino dell'Igharghar, e durò
più d'un millennio: il livello scese per l'accresciuta evaporazione
e gli uomini dell'antichità classica conobbero un grande
lago Tritonide, con un fiume Tritone, che scendeva dalle pendici
dell'Ahaggar nel letto dell'attuale Wed Igharghar, la cui lunghezza
complessiva raggiunse i 2000 km, secondo i calcoli effettuati da
Butavand.
Assumono così un tragico colore le vicende di quella terra di Atlantide
che, secondo il racconto platonico, era stata "assegnata a Poseidone":
letteralmente, in quanto era posta al di sotto del livello del mare
(nel significato che oggi assume una tale espressione).
Si potrebbe tentare di individuare i diversi livelli costieri sommersi,
corrispondenti alla progressione delle acque dal momento della catastrofe
di Atlantide sino al completo riempimento del mare Mediterraneo
alla quota attuale. Ma, naturalmente, questo oggi appare solo come
un sogno utopistico. Un'importante conferma, relativa agli antichi
livelli marini, potrebbe provenire dalla ricerca in profondità
degli antichi porti minoici, che potrebbero essere identificabili
nei fondali intorno all'isola di Creta in modo certo meno complesso
e macchinoso di una ricerca che puntasse direttamente al ritrovamento
di resti nell'area dell'antica Atlantide.
Se ora proveremo a rileggere i Dialoghi di Platone e a confrontarli
con la "nostra" mappa di Atlantide, avremo la netta sensazione che
le cose corrispondano e vadano al loro posto. Le acque del mare
salivano gradualmente e allagavano le fertili pianure dell'Egeo,
lasciandone emergere solo le cime dei rilievi, che si trasformavano
in isole, sempre più piccole... ci renderemo conto che i "novemila
anni" di Platone devono davvero corrispondere a un periodo lungo,
sì, ma "a misura" della stirpe degli Achei e dei Greci, dopo che
essi si insediarono nel bacino del Mediterraneo.
"Accadute dunque molte e grandi inondazioni per novemila anni (tanti
ne sono corsi da quel tempo sino ad ora), la terra, che in quei
tempi e avvenimenti scendeva dalle alture, non si ammassò
come altrove in monticelli degni di menzione, ma sempre scorrendo
scomparve nel profondo del mare: pertanto, come avviene nelle piccole
isole, sono rimaste in confronto di quelle d'allora queste ossa
quasi di corpo infermo, essendo colata via la terra grassa e molle
e rimasto solo il corpo magro della terra. Ma allora ch'era intatta,
aveva come monti alte colline, e le pianure ora dette di Felleo
erano piene di terra grassa, e sui monti v'era molta selva, di cui
ancora restano segni manifesti. Dei monti ve ne sono ora che porgono
nutrimento soltanto alle api, ma non è moltissimo tempo che vi furono
tagliati alberi per coprire i più grandi edifici, e questi tetti
ancora sussistono. V'erano anche molte alte piante coltivate e vasti
pascoli per il bestiame. Ogni anno si raccoglieva l'acqua del cielo,
e non si disperdeva, come ora, quella che dalla secca terra fluisce
nel mare, ma la terra, ricevutane molta, la conservava nel suo seno,
e la riportava nelle cavità argillose, e dalle alture la
diffondeva nelle valli, formando in ogni luogo ampi gorghi di fonti
e di fiumi, dei quali le antiche sorgenti sono rimaste ancora come
sacri indizi, che attestano la verità delle mie parole".
La fine del centro di Atlantide, che basava la propria potenza sull'egemonia
commerciale e culturale nel bacino del Mediterraneo occidentale
e del Nord-ovest Africano (diremmo oggi, con un termine arabo, Maghreb),
dovette causare diverse gravi conseguenze, di cui è rimasta traccia
nei "misteri" di quelle aree:
- Per lungo tempo crollò il commercio dello stagno dalla penisola iberica e dalla Cornovaglia, sino a che non fu rimesso in auge dai commercianti fenici e cartaginesi. L'Egitto, infatti, era soddisfatto del monopolio sul bronzo ottenuto grazie alle guerre contro gli Hittiti, e la fine di Atlantide costituì per i Faraoni un insperato ausilio all'abolizione di una pericolosa concorrenza sulla produzione della preziosa lega (benché l'arrivo nell'area del Mediterraneo degli Achei, dotati di armi di ferro, avesse considerevolmente ridotto l'importanza strategica del bronzo).
- Scomparvero "misteriosamente" i costruttori di megaliti, in tutto l'arco del Mediterraneo occidentale. Una volta diminuite le risorse economiche, la popolazione locale era ricaduta in un regime di povertà e di sussistenza alimentare, che non permetteva certo la concezione e la realizzazione di grandi opere.
- Le successive occupazioni delle grandi isole (Sardegna e Corsica) da parte dei popoli del mare fecero sprofondare sempre più nel mistero le origini di quel "popolo dei megaliti" che li aveva preceduti.
- Un piccolo gruppo di sopravvissuti del popolo Tjehenu conservò forse il ricordo di una parte degli antichi miti. La mitica regina Tin Hinan, sepolta nel massiccio dell'Ahaggar, nel cuore del Sahara, ne può costituire una traccia, almeno nella permanenza del nome, così come l'alfabeto tifinagh, usato nelle più antiche lingue libico-berbere. Certamente, però, l'entità e le modalità della catastrofe sopra descritta furono tali da sterminare l'intero gruppo dirigente, che doveva abitare nella città capitale e nella vasta e fertile pianura, devastate dall'onda di tracimazione del "mare dei Giardini".
Un'obiezione che mi è capitata di ricevere più volte,
nel corso dello svolgimento di questa indagine, è stata:
" ma se tutta la storia era così evidente, perché
nessuno l'ha mai scritta prima?" La risposta è molto
semplice: "è proprio perché qualcuno l'ha scritta,
che possiamo raccontare questa storia. L'ha scritta Platone, e con
grande precisione; ne hanno scritte delle parti importanti Eudosso
di Cnido, Diodoro Siculo ed altri autori antichi, ne hanno scritte
e raffigurate altre parti i cronisti dell'Antico Egitto, con una
precisione che sarebbe invidiabile da parte di molti cronisti moderni...
si trattava di raccogliere una serie di "pezzi sparsi",
metterli insieme e partire sulle tracce di un disastro i cui superstiti
non sono rimasti per raccontarlo... un "Vajont" dei tempi
antichi, avvenuto in uno spazio e in un tempo incredibilmente vicini
a noi, molto più di quanto ogni nostra fantasia non ci consentisse
di immaginare.
Dobbiamo essere grati all'attenzione di Platone che ha tramandato
con una tale ricchezza di particolari il resoconto di Solone su
Atlantide: una memoria che sarebbe potuta scomparire, sepolta nell'oblio,
come tanti altri eventi dimenticati, nel corso della storia dell'uomo.
di Alberto Arecchi
liutprand@iol.it
www.liutprand.it
di Michael A. Cremo, Richard L. Thompson2. Archeologia Misterica
di Luc Bürgin3. Archeologia dell'impossibile
di Volterri Roberto4. Archeologia eretica
di Luc Bürgin5. Il libro degli antichi misteri
di Reinhard Habeck6. Rennes-le-Château e il mistero dell'abbazia di Carol
di Roberto Volterri, Alessandro Piana7. Il mistero delle piramidi lombarde
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