sei in Home > Mistero > Articoli > Dettaglio Articoli
24 Settembre 2003 MISTERO
Elena Percivaldi
I Celti: Una civiltà europea
DOWNLOAD PDF 504 KB



Ormai nessuno si sogna più di negarlo. Tra gli antenati dei popoli europei i Celti hanno avuto molta importanza per quanto concerne gli apporti culturali, religiosi, antropologici e linguistici. Anzi, di più: un'importanza fondamentale. Questo ho cercato di evidenziare nel mio libro "I Celti. Una civiltà europea", uscito a giugno per i tipi della casa editrice fiorentina Giunti. Non ho però voluto scrivere un trattato di archeologia: già tanti, infatti, sono i volumi che, soprattutto grazie all'impulso dato dalla grande mostra "I Celti" che si è tenuta a Venezia nel 1991, hanno affrontato e affrontano il "problema Celti" sotto tale aspetto. E basta ricordare, per non fare che un esempio ben noto, gli studi di Venceslas Kruta.
 Particolare codice miniato irlandese

Ciò che si è voluto fare allora, in linea con i testi della stessa collana (gli Atlanti storici) è invece cercare di raccontare chi erano davvero i Celti, com'era strutturata la loro società, che tipo di religione professavano e che mentalità avevano, i loro usi e costumi, che lingue parlavano. E, soprattutto, cosa è rimasto di loro - se qualcosa è rimasto - ai giorni nostri: un argomento, purtroppo, considerato da molti ancora tabù.
Nel primo capitolo, intitolato "Chi erano i Celti", ho cercato di fornire una rapida visione d'insieme di questo popolo, anzi insieme di popoli, che abitarono un territorio vastissimo: dalle isole britanniche alla Spagna, dall'Italia del Nord alla Francia, all'Europa centrale e orientale, fino alla Turchia. Genti in parte ancora misteriose, le cui tracce, nonostante i millenni trascorsi, sopravvivono in molti luoghi ancora oggi. Ho ricostruito brevemente la loro epopea dalle origini, da quando cioè la cultura "celtica" si sviluppò nel cuore del nostro continente, sino alla drammatica fine, avvenuta con la conquista romana. Mostrando, però, che di una vera e propria "fine" non si trattò.
Quando un popolo ne conquista un altro, infatti, non ne cancella immediatamente la cultura. Magari la assorbe, oppure ne è assorbito. Nel caso dei Celti, sicuramente la civiltà romana alla lunga riuscì a prevalere, ma nel libro ho messo in evidenza come molti aspetti della loro civiltà, dalla religione al folklore, dall'immaginario artistico alle tracce linguistiche e toponomastiche, siano sopravvissute ben più a lungo.
E' bene dirlo subito: la conquista romana - le cui modalità in Gallia come in Britannia, in Italia come in Asia Minore e in Spagna, sono raccontate nel capitolo 5, "La resa a Roma" - incise non poco sul la civiltà celtica. Perduta l'indipendenza politica e territoriale e ottenuto lo status di cittadini romani, i Celti sembrarono avviati anche alla perdita definitiva, nel giro di poche generazioni, della loro identità. Finite le guerre di conquista, i Romani iniziarono a latinizzarne lingue, istituzioni e costumi. Oltre agli idiomi, sul contiente caddero lentamente nel dimenticatoio o si snaturarono anche molte usanze e tradizioni, soppiantate o stravolte in seguito anche dall'avvento del Cristianesimo. Ciò che restava si mescolò, all'alba del Medioevo, con il patrimonio di credenze e di tradizioni che irruppero in Europa tra IV e VI secolo, durante il periodo delle invasioni barbariche. Ma per fortuna, come spiego nel capitolo ottavo, "Un'eredità preziosa", non tutto il mondo celtico fu cancellato del tutto. Soprattutto nelle campagne, dove la mentalità è più conservatrice e tradizionalista, tante usanze, parole e istituzioni legate al passato sono rimaste vive a lungo. Al punto che alcune tracce di questo mondo perduto, sebbene non "pure" ma ricche di apporti dei più diversi, sono giunte addirittura fino ai giorni nostri.
 Falera celtica

Prendiamo ad esempio le lingue. Tranne che in quei Paesi dove, anche per iniziativa politica, oggi si parla ancora qualche idioma celtico, nel resto dell'Europa le tracce delle antiche lingue sono labili. Però esistono. E' una questione poco nota, per questo vi ho dedicato un intero capitolo, il quarto. Dopo aver esaminato uno per uno tutti gli idiomi parlati (e scritti) dagli antichi Celti delle isole e del continente, ho tentato di evidenziarne anche i "tratti originali". Due esempi. Primo: i Celti irlandesi inventarono l'alfabeto cosiddetto "ogamico", molto complicato e dotato di una connotazione in parte misteriosa ed esoterica. Secondo: è un dato di relativamente recente acquisizione che i Celti insiediati nella pianura padana non solo parlavano una lingua celtica (il lepontico), ma avevano inventato, per scriverla, un vero e proprio alfabeto, preso a prestito dagli Etruschi ma diverso da tutti gli altri in uso a quel tempo.
 Divinità celtica

Gli idiomi celtici, almeno sul continente, sono oggi in gran parte estinti. Ma dalla sovrapposizione tra tali antichi idiomi e il latino dei conquistatori sono nate le lingue cosiddette "galloromanze", gruppo del quale fanno parte, per restare in Italia, vari dialetti del settentrione, che infatti - è stato osservato - sono più simili al francese, al catalano e al provenzale che non al toscano, al pugliese o al napoletano. Inoltre, alcune parole usate nei dialetti e nelle lingue di oggi sono di origine celtica, come anche molti luoghi geografici, città, paesi e villaggi. Qualche esempio, in Italia, tra i tanti: Induno, forse anche Belluno, da dunum, fortezza; i nomi derivati da brig (altura) come Brescia (anticamente Brixia), Brescello, Brione, Briona e la Brianza. E si potrebbe continuare quasi all'infinito.
Ma non è solo la toponomastica ad essere sopravvissuta alla conquista. Anche molti riti agresti, non cancellati dalla cristianizzazione, hanno percorso la civiltà europea per riemergere, come un fiume carsico, quando meno ce lo si aspetta. La Chiesa, infatti, ha sempre considerato i culti pagani demoniaci e pericolosi, ma non solo non riuscì ad estirparli: addirittura fu costretta ad "adattare" le tradizioni pagane celtiche al sistema di valori cristiano mutandone i significati ma lasciando quasi intatte le forme. Un intero capitolo del libro, il secondo, racconta l'approccio dei Celti alla religione e la loro società (con alcune "sorprese", ad esempio riguardo all'origine "celtica" delle streghe oppure le predilezioni dei nostri antenati a tavola), mentre il terzo esamina, tra le altre cose, il calendario e le feste che i druidi - ovvero i sacerdoti - celebravano in determinati momenti del l'anno. Antiche festività - Samain, Imbolc, Beltaine e Lugnasad, che sono diventate le nostre Ognissanti/Festività dei defunti, Candelora, Calendimaggio e Ferragosto. Ma un po' dappertutto si sono conservati anche echi di celebrazioni "minori" che, in qualche caso, sopravvivono ancora ai giorni nostri. Come la Gibiana in Brianza. O ancora, alcune "strane" figure di santi.
Che il rapporto dei Celti con la religione fosse complesso emerge anche dal capitolo sesto, che ho dedicato al Cristianesimo celtico nel Medioevo. Un capitolo dove cerco di spiegare il grande debito della cultura europea nei confronti dei "discendenti", ormai cristianizzati, degli antichi Celti insulari. L'Irlanda fu l'unico baluardo rimasto immune alla romanizzazione, e seppe fondere la propria antica identità con il nuovo credo cristiano. Nel secoli di mezzo fu grazie ai monaci irlandesi se importanti suggestioni della cultura celtica poterono diffondersi di nuovo sul continente contribuendo a formare, nella letteratura come nell'arte, nell'architettura come nella spiritualità, il canovaccio della nascente identità europea.
Il contributo dei Celti alla nostra cultura è però rimasto a lungo nascosto. Come spieg nel capitolo 7, "La fortuna dei Celti", solo in tempi relativamente recenti è iniziata la vera e propria "riscoperta" di questa civiltà. I primi tentativi di studio furono fatti a partire dal Seicento, dapprima in Francia, poi in Inghilterra. Ma fu nell'Ottocento romantico che i Celti, lentamente, tornarono di moda. Da allora, però, non sono quasi più caduti nel dimenticatoio. Oggi il fenomeno è sotto gli occhi di tutti: basta pensare al grande successo di un fumetto come Asterix, alla suggestione esercitata, pur con tutti i distinguo del caso, dalle opere di Tolkien, agli influssi "celtici" della musica in hit parade, alle oceaniche partecipazioni ai Festival come quello di Lorient. Certo, nuovo impulso agli studi è stato dato anche a livello politico: il caso più eclatante è quello della Celtic League, che promuove le attività nei paesi di eredità celtica (Irlanda, Scozia, Isola di Man, Galles, Cornovaglia e Bretagna) per mantenere viva l'attenzione sull'identità e sulle problematiche che essa pone a livello politico, economico, sociale e culturale.
Il libro consta di 190 pagine, otto capitoli, 470 illustrazioni a colori, 18 cartine e 40 schede di approfondimento con cronologia e indici dei nomi e dei popoli.

 

di Elena Percivaldi
elena.percivaldi@email.it